Siamo noi a studiare la geometria, o è la geometria a studiare noi?
La geometria è nell’essenza primordiale delle cose. E pensare che la prima esperienza consapevole che ne facciamo, avviene attraverso i libri scolastici. Non so per voi, ma per me noiosissimi. La vita sarebbe tanto più semplice se ci limitassimo ad osservare. Basterebbe guardare il cielo con le mani in tasca, e saremmo già consapevoli di quanta geometria ci sovrasta e ci circonda. Un bocciolo di rosa, l’orbita dei pianeti, un alveare, un torsolo di mela, le molecole del DNA e perfino l’architettura delle case che abitiamo. Come recitava un celebre spot pubblicitario, è tutto intorno a te.
La geometria ha molto a che fare con la terra, come noi del resto, e lo porta scritto nel suo codice genetico. L’etimologia, che altro non è che il DNA delle parole, dice: dal greco geometria significa ‘misura della terra o del territorio, gē-terra, metria– misura.
Voglio scomodare addirittura Platone, che nel portico dell’Accademia di Atene aveva fatto incidere “Non entri chi non conosca la geometria”. Parafrasando, si tratta di una disciplina così basilare da diventare un linguaggio universale, che accomuna tutta la triade che compone il pianeta Terra, il mondo animale, il mondo vegetale e quello minerale. In buona sostanza, per Platone non conoscere la geometria, significava non solo non sapere, ma peggio, non vedere, trovarsi letteralmente inconsapevoli del mondo che si abita, quindi non degni di varcare la porta dell’Accademia. E oggi, quanti varcherebbero quella porta? Forse, meglio non saperlo.
Ma ora veniamo a noi, vi racconto qualcosa a proposito della mia attrazione magnetica per la geometria sacra, di cui forse potreste intuire l’origine. Da grande appassionata di pietre e cristalli, era inevitabile che mi innamorassi anche della geometria che sovrintende la loro incredibile struttura. Quello che ancora non sapete, è che tutto nasce da una serie di singolari incontri, che ruotano intorno a quattro donne. Come mi piace definirle, le mie fantastiche 4. Ve le presento, in ordine di arrivo e non di importanza.
Ildegarda di Bingen.
L’incontro con una donna di tale immensità avvenne per caso, in un pomeriggio qualunque tra gli scaffali di una libreria. L’occhio mi cadde su una copertina colorata dal titolo importante, “La Guaritrice”. Questo me lo porto a casa, pensai, prima o poi lo leggerò. E come per magia, nei mesi successivi, continuai ad imbattermi in situazioni e persone che facevano riferimento a lei. Ok Ildegarda, veniamo a noi, mi dissi. E così iniziò il mio viaggio nella vita e nelle opere di una donna rivoluzionaria vissuta nel XII secolo. Monaca benedettina, compositrice, mistica e pioniera nel campo della medicina naturale. È nota per le sue opere che trattano di medicina, botanica, musica e teologia. Considerata una figura fondamentale per la medicina olistica e la cura naturale, la sua eredità continua a ispirare pratiche terapeutiche contemporanee che uniscono corpo e spirito.
Nel 1150, fonda il monastero di Rupertsberg. Le sue monache portano i capelli lunghi e vestono abiti eleganti, celebrando le liturgie con meravigliosi canti. La musica di Ildegarda è raccolta nell’opera “Symphonia harmoniae caelestium revelationum”, 77 brani tra inni, responsori e sequenze e nell’opera Ordo Virturum, dove troviamo altre 82 melodie che descrivono la vittoria dell’anima sul Diavolo attraverso le Virtù.
La musica era il messaggio per me, perché la musica è geometria. Ma questo lo avrei scoperto più tardi.
Ipazia d’Alessandria
Perché poi arrivò Ipazia , facendo il suo timido ingresso durante una conversazione con Elisa, la mia amica erborista, che data la mia passione per Ildegarda, mi suggerì di non farmi mancare la conoscenza del suo pensiero. Impaziente e incredula per le connessioni che si stavano creando, cercai immediatamente materiale di studio.
Ipazia, matematica, filosofa ed astronoma. Donna di enorme cultura, si dice fosse bellissima e che avesse deciso intenzionalmente di non prendere marito perché, non dipendendo da un uomo, non sarebbe stata ricattabile. Ipazia è stata l’antesignana della scienza sperimentale. Studiò e realizzò l’astrolabio piatto, uno strumento per localizzare o calcolare la posizione di corpi celesti, fondamentale per l’astronomia e la navigazione
In un clima di fanatismo, di ripudio della cultura e della scienza in nome della crescente religione cristiana, Ipazia venne trucidata nel marzo del 415, lapidata in una chiesa da una folla di fanatici e il suo corpo fatto a brandelli sparso per la città.
Viene ricordata come un simbolo della libertà di pensiero, della lotta per dell’indipendenza della donna, oltre che come martire del paganesimo e in generale del dogmatismo fondamentalista.
Cosa voleva dirmi Ipazia? Tante cose, ma per condurvi alla comprensione di questo lungo articolo, mi soffermerei sull’astronomia, la geometria e la scienza che fornisce il linguaggio e i modelli necessari per descrivere e comprendere i fenomeni astronomici. La sua storia mi scosse profondamente, a tal punto da sognarla più volte. Per alleggerirmi raccontai del mio incontro con Ipazia a Chiara, un’allieva della scuola, laureata in matematica alla Normale di Pisa, e lei di rimando mi suggerì di leggere di
Artemisia Gentileschi.
Figura straordinaria, non solo nel panorama dell’arte, ma anche nella storia della lotta per l’uguaglianza di genere. Il sogno di essere riconosciuta come artista fu gravemente ostacolato da un evento traumatico: subì una violenza sessuale da parte di un amico di famiglia, Agostino Tassi. Questo episodio la portò a intraprendere un lungo processo legale, che la vide combattere non solo per la sua dignità, ma anche per il diritto di essere ascoltata in un mondo dominato dagli uomini.
Artemisia fu capace di trasformare il dolore in arte, lasciandoci in eredità una lezione magistrale di resilienza. Le sue opere, come “Giuditta che decapita Oloferne”, non solo mostrano una straordinaria abilità tecnica, ma raccontano storie di donne che, attraverso il sacrificio e la lotta, trovano il loro potere. Essere all’ombra di Caravaggio, il grande maestro del chiaroscuro, non la intimidì. Al contrario, Artemisia riuscì a reinterpretare e superare le sue influenze, aggiungendo una sensibilità femminile e una profondità emotiva che la rendevano unica. La sua vita è un viaggio di sofferenza, ma anche di trionfo e riconoscimento.
Il filo rosso che mi collega ad Artemisia attraverso la geometria sacra è l’arte pittorica dell’epoca, caratterizzata da una forte teatralità e gestualità, enfatizzate da linee geometriche nella disposizione dei soggetti, al fine di creare tensione visiva e profondità.
E siamo arrivate all’ultima delle mie fantastiche 4. Signore e signori, sto parlando di
Hilma af Klint
scoperta leggendo una newsletter di Elena Brower, famosa insegnante di Yoga che seguo da anni.
Hilma af Klint è stata una vera pioniera nell’arte astratta. Nata a Stoccolma nel 1862, la sua educazione artistica la portò ad esplorare diverse forme e stili, ma il suo vero genio emerse quando iniziò a coniugare la sua passione per la pittura con il suo grande interesse per il misticismo e le teorie spirituali.
Era parte di un gruppo di ricerca spirituale chiamato “The Five”, con cui svolgeva sedute spiritiche. Queste esperienze influenzarono profondamente la sua arte, portandola a esplorare temi come il ciclo della vita, il cosmo e la connessione tra il materiale e il spirituale.
Le sue opere più conosciute, come le serie “Paintings for the Temple”, riflettono questa ricerca interiore. Caratterizzate da forme geometriche e colori vibranti, sono state tra le prime espressioni dell’arte astratta. Nonostante il talento, le sue opere rimasero in gran parte sconosciute durante la sua vita. Un esito in parte voluto, una manifestazione di indipendenza che espresse chiedendo che quelle opere venissero presentate solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1944. Come spesso accade, trascorsero parecchi decenni prima che il pubblico rivalutasse l’arte che talenti incredibili lasciano in eredità alle generazioni successive. Anche l’astrattismo e il mistero, che potrebbero apparire come delle nebulose, trovano la loro espressione artistica nella forma geometrica.
La geometria è ovunque, perché la verità è che si trova dentro di noi, è il linguaggio con cui diamo forma ai pensieri.
Ma le domande continuavano a tormentarmi, e suonavano più o meno così. Perché solo ora incontro queste donne? Perché così tutte insieme nel giro di poco tempo? Cosa vogliono comunicarmi con le loro storie? E che cosa c’entro io con loro? Si trattava di doverle riscattare in una qualche maniera?
Poi, con il bagliore di un fulmine, la risposta arrivò. E la tenevo tra le mani. Erano i cristalli. Ebbene sì, i cristalli, materia pulsante animata dalla geometria sacra. Piansi e risi, tutto in una volta. Ma poi riflettei. Non esistono incontri casuali, amorevoli coincidenze, perché gli esseri umani vivono di connessioni invisibili, ma dalla geometria assai complessa. Le storie che viviamo, le parole che pronunciamo, le intenzioni che esprimiamo, anche segretamente, contribuiscono ad alimentare la sacralità dei legami.